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Bruno Di Bello
Studio per ritratto di condottiero, Moshe Dayan, 1965
Tela fotografica dipinta
200 x 126 cm
Studio per ritratto di condottiero, Moshe Dayan, 1965
Tela fotografica dipinta
200 x 126 cm
Comunicato stampa
Bruno Di Bello
Antologia
Inaugurazione: 15 settembre 2010
16 settembre – 30 ottobre 2010
Antologia
Inaugurazione: 15 settembre 2010
16 settembre – 30 ottobre 2010
La Fondazione Marconi è lieta di presentare un’antologia di opere di Bruno Di Bello.
La mostra, che occupa tutti i quattro piani dello spazio, ripercorre l’iter di questo artista, dalle prime esperienze di incrocio tra pittura e fotografia degli anni Sessanta, alle opere che lo hanno visto vicino alla Mec Art milanese, ai grandi quadri dove fonde scrittura e fotografia, fino alle più recenti astrazioni digitali. Bruno Di Bello fa il suo ingresso nel panorama artistico aderendo al Gruppo ’58 di Napoli ma il suo lavoro si distacca da quello dei suoi amici per un riferimento ad un’arte segnica, astratta, più vicina ad esperienze di azzeramento della pittura.
Nel ’66 tiene una mostra personale a Napoli alla galleria Lucio Amelio. A questo periodo corrispondono i primi esperimenti di riporto su tela fotografica usando immagini come quella del volto di Moshe Dayan (Studio per ritratto di condottiero, 1965) o di altre figure riprese dalla cronaca del tempo.
Nel ‘67 si stabilisce a Milano nel laboratorio del “Quartiere delle Botteghe” di Sesto San Giovanni, all’epoca abitato da vari artisti e nel ’68 aderisce alla Mec-Art, teorizzata da Pierre Restany.
Di Bello indaga sulle possibilità di scomposizione dell’immagine rendendo omaggio ai protagonisti delle avanguardie storiche e ai propri miti artistici (Klee, Duchamp, Man Ray, Mondrian e i costruttivisti russi) sviluppando così un’idea di arte come riflessione sulla storia dell’arte, in particolare sulle icone del movimento moderno, ma allo stesso tempo come riflessione sulla struttura dell’immagine stessa.
L’artista sceglie quindi un medium più freddo della pittura: la tela fotosensibile su cui ferma con la luce l’immagine, che poi scompone, analizza, restituendone la ricomposizione allo sguardo dello spettatore.
Il lavoro sulla tela fotografica prosegue poi come ricerca sulla scrittura: ampie griglie all’interno delle quali la parola o la singola lettera o la firma di un artista vengono scomposte e ridotte ad asettici segni grafici come in Variazioni sulla firma di Klee, 1975 o Procedimento, 1974.
Altri lavori degli anni Settanta-Ottanta sono eseguiti disegnando sulla tela sensibile direttamente con il raggio di luce di una pila.
La mostra, che occupa tutti i quattro piani dello spazio, ripercorre l’iter di questo artista, dalle prime esperienze di incrocio tra pittura e fotografia degli anni Sessanta, alle opere che lo hanno visto vicino alla Mec Art milanese, ai grandi quadri dove fonde scrittura e fotografia, fino alle più recenti astrazioni digitali. Bruno Di Bello fa il suo ingresso nel panorama artistico aderendo al Gruppo ’58 di Napoli ma il suo lavoro si distacca da quello dei suoi amici per un riferimento ad un’arte segnica, astratta, più vicina ad esperienze di azzeramento della pittura.
Nel ’66 tiene una mostra personale a Napoli alla galleria Lucio Amelio. A questo periodo corrispondono i primi esperimenti di riporto su tela fotografica usando immagini come quella del volto di Moshe Dayan (Studio per ritratto di condottiero, 1965) o di altre figure riprese dalla cronaca del tempo.
Nel ‘67 si stabilisce a Milano nel laboratorio del “Quartiere delle Botteghe” di Sesto San Giovanni, all’epoca abitato da vari artisti e nel ’68 aderisce alla Mec-Art, teorizzata da Pierre Restany.
Di Bello indaga sulle possibilità di scomposizione dell’immagine rendendo omaggio ai protagonisti delle avanguardie storiche e ai propri miti artistici (Klee, Duchamp, Man Ray, Mondrian e i costruttivisti russi) sviluppando così un’idea di arte come riflessione sulla storia dell’arte, in particolare sulle icone del movimento moderno, ma allo stesso tempo come riflessione sulla struttura dell’immagine stessa.
L’artista sceglie quindi un medium più freddo della pittura: la tela fotosensibile su cui ferma con la luce l’immagine, che poi scompone, analizza, restituendone la ricomposizione allo sguardo dello spettatore.
Il lavoro sulla tela fotografica prosegue poi come ricerca sulla scrittura: ampie griglie all’interno delle quali la parola o la singola lettera o la firma di un artista vengono scomposte e ridotte ad asettici segni grafici come in Variazioni sulla firma di Klee, 1975 o Procedimento, 1974.
Altri lavori degli anni Settanta-Ottanta sono eseguiti disegnando sulla tela sensibile direttamente con il raggio di luce di una pila.
Negli anni Ottanta Di Bello sperimenta un nuovo modo di usare la luce giustapponendo tra la fonte luminosa e il supporto figure umane ed oggetti che proiettano su quest’ultimo le loro ombre sviluppando poi la tela con larghe pennellate di rivelatore come Apollo e Dafne nel terremoto eseguito per la collezione Terrae motus allestita da Lucio Amelio nel 1987 ed esposta a Parigi – Grand Palais, ora in permanenza presso la Reggia di Caserta.
A partire dagli anni Novanta Di Bello si dedica allo studio di nuove tecnologie operando ricerche sulle immagini sintetiche, la fotografia digitale e le nuove geometrie visualizzabili dal computer.
Le forme visive ricercate da Di Bello derivano da fondamenti matematici e trovano espressione nella gelida geometria dei frattali. L’esposizione documenta quindi la ricerca di Bruno Di Bello in quel percorso di progressiva “disumanizzazione dell’arte” così definita e teorizzata dal filosofo napoletano Mario Costa che scrive a proposito dell’artista: “Bruno Di Bello ha capito che il massimo dell’aseità dell’immagine, dovuto alla sua natura logica e dunque mentale, coincide con il massimo della sua freddezza, cioè con quanto egli è andato cercando per tutta la vita. Ha capito che le immagini digitali non rimandano a nessun soggetto e a nessun oggetto, che non hanno referente alcuno e che devono esse stesse essere trattate come dei referenti, cioè come delle nuove cose con le quali misurarsi sul piano dell’estetico”.
Per l'occasione sarà presentata la monografia Bruno Di Bello - Antologia edita da Silvana Editoriale per la VAF Stiftung di Frankfurt am Main, a cura di Volker Feierabend, con testi di Michele Bonuomo, Mario Costa, Marco Meneguzzo, Alessia Paolillo e Angela Tecce.
A partire dagli anni Novanta Di Bello si dedica allo studio di nuove tecnologie operando ricerche sulle immagini sintetiche, la fotografia digitale e le nuove geometrie visualizzabili dal computer.
Le forme visive ricercate da Di Bello derivano da fondamenti matematici e trovano espressione nella gelida geometria dei frattali. L’esposizione documenta quindi la ricerca di Bruno Di Bello in quel percorso di progressiva “disumanizzazione dell’arte” così definita e teorizzata dal filosofo napoletano Mario Costa che scrive a proposito dell’artista: “Bruno Di Bello ha capito che il massimo dell’aseità dell’immagine, dovuto alla sua natura logica e dunque mentale, coincide con il massimo della sua freddezza, cioè con quanto egli è andato cercando per tutta la vita. Ha capito che le immagini digitali non rimandano a nessun soggetto e a nessun oggetto, che non hanno referente alcuno e che devono esse stesse essere trattate come dei referenti, cioè come delle nuove cose con le quali misurarsi sul piano dell’estetico”.
Per l'occasione sarà presentata la monografia Bruno Di Bello - Antologia edita da Silvana Editoriale per la VAF Stiftung di Frankfurt am Main, a cura di Volker Feierabend, con testi di Michele Bonuomo, Mario Costa, Marco Meneguzzo, Alessia Paolillo e Angela Tecce.