Comunicato stampa
Valerio Adami
Inaugurazione: 21 settembre 2016
22 settembre – 12 novembre 2016
Inaugurazione: 21 settembre 2016
22 settembre – 12 novembre 2016
È una presenza ricorrente quella di Valerio Adami nella storia di Studio Marconi, dalla prima mostra inaugurale del 1965 fino al 1992, anno in cui lo spazio espositivo cede il posto alla Galleria Giò Marconi (dove l’artista espone due volte nel 1995 e 1997), per poi riproporsi alla Fondazione Marconi nel 2007 e 2009.
Questa esauriente monografica segna il grande ritorno dell’artista e ne delinea il percorso negli anni che vanno dal 1956 alla fine degli anni Novanta.
Nato nel 1935 a Bologna, Valerio Adami vive tra Parigi, sua città d’elezione, Monte Carlo e il Lago Maggiore.
Dopo aver frequentato l’atelier di Felice Carena e aver seguito i corsi di Achille Funi, si diploma all’Accademia di Brera nel 1955. Una serie di viaggi lo portano a vivere e lavorare in Europa, Stati Uniti, America Latina e India.
Uno dei maggiori artisti italiani del dopoguerra, insignito dei principali premi internazionali di pittura, Valerio Adami subisce inizialmente gli influssi espressionisti della pittura di Oskar Kokoschka e Francis Bacon.
Attinge alla cultura visiva del pop americano, vivendo e pensando la creazione pittorica come strumento mentale di trasformazione del mondo per realizzare, come ben esprime Emilio Tadini in un testo nel 1965, “una figurazione integrale della nostra realtà”.
"Dal momento in cui l’ho visto concepire i suoi quadri a partire da foto di attualità prese in prestito dalla stampa… ho capito che si trattava di un grande pittore: non di un pittore dell’immediato, dell’attualità, ma di un pittore che tenta lucidamente di dominare e persino di sfasciare l’attualità o, meglio detto: ‘di farla volare in pezzi’. (A. Jouffroy, 1966)
Condivide dapprima con Matta e Magnelli la deflagrazione delle forme e il rapporto fondante tra dipinto e disegno; successivamente con de Chirico lo sradicamento, la visione onirica e assoluta con elementi tratti da tempi diversi e la spiazzante nostalgia per i neoclassici e per il mito.
Matura così, gradualmente, uno stile del tutto personale con soggetti tratti dalla vita quotidiana e
contraddistinti da armoniche campiture, eseguite con colori puri, contornate di nero e del tutto prive di chiaroscuro. Il notevole bagaglio di esperienze, culture e conoscenze acquisite durante i numerosi viaggi, le mostre in giro per il mondo e gli incontri con intellettuali e artisti internazionali gli permettono di far evolvere negli anni la sua arte che assume un aspetto completamente diverso da quello dei primi tempi. I frammenti dei corpi deflagrati, tipici degli anni Sessanta, si ricompongono progressivamente e la sua pittura si popola di figure sempre più classicheggianti e solenni.
Questa esauriente monografica segna il grande ritorno dell’artista e ne delinea il percorso negli anni che vanno dal 1956 alla fine degli anni Novanta.
Nato nel 1935 a Bologna, Valerio Adami vive tra Parigi, sua città d’elezione, Monte Carlo e il Lago Maggiore.
Dopo aver frequentato l’atelier di Felice Carena e aver seguito i corsi di Achille Funi, si diploma all’Accademia di Brera nel 1955. Una serie di viaggi lo portano a vivere e lavorare in Europa, Stati Uniti, America Latina e India.
Uno dei maggiori artisti italiani del dopoguerra, insignito dei principali premi internazionali di pittura, Valerio Adami subisce inizialmente gli influssi espressionisti della pittura di Oskar Kokoschka e Francis Bacon.
Attinge alla cultura visiva del pop americano, vivendo e pensando la creazione pittorica come strumento mentale di trasformazione del mondo per realizzare, come ben esprime Emilio Tadini in un testo nel 1965, “una figurazione integrale della nostra realtà”.
"Dal momento in cui l’ho visto concepire i suoi quadri a partire da foto di attualità prese in prestito dalla stampa… ho capito che si trattava di un grande pittore: non di un pittore dell’immediato, dell’attualità, ma di un pittore che tenta lucidamente di dominare e persino di sfasciare l’attualità o, meglio detto: ‘di farla volare in pezzi’. (A. Jouffroy, 1966)
Condivide dapprima con Matta e Magnelli la deflagrazione delle forme e il rapporto fondante tra dipinto e disegno; successivamente con de Chirico lo sradicamento, la visione onirica e assoluta con elementi tratti da tempi diversi e la spiazzante nostalgia per i neoclassici e per il mito.
Matura così, gradualmente, uno stile del tutto personale con soggetti tratti dalla vita quotidiana e
contraddistinti da armoniche campiture, eseguite con colori puri, contornate di nero e del tutto prive di chiaroscuro. Il notevole bagaglio di esperienze, culture e conoscenze acquisite durante i numerosi viaggi, le mostre in giro per il mondo e gli incontri con intellettuali e artisti internazionali gli permettono di far evolvere negli anni la sua arte che assume un aspetto completamente diverso da quello dei primi tempi. I frammenti dei corpi deflagrati, tipici degli anni Sessanta, si ricompongono progressivamente e la sua pittura si popola di figure sempre più classicheggianti e solenni.
Resta immutato però il punto di partenza da cui l’artista si muove: il disegno.
Adami realizza nel disegno prima e nel dipinto poi un procedimento virtuoso, in cui confluiscono
associazioni di idee, miti classici, suggestioni letterarie, musicali, cinematografiche, ricordi lontani di esperienze vissute.
Il disegno divide e orienta lo spazio, stabilisce una gerarchia, un positivo e un negativo, vi descrive un ordine e una struttura. Linee e forme si svolgono, si intersecano e si dipanano alla conquista di nuova identità, in un flusso di visione che ricorda il flusso di coscienza di Joyce.
"La linea che è elemento costitutivo del disegno, produttore e generatore di forme, è soggettiva… cammina, si raddoppia senza fine e senza fine ci racconta il suo tragitto…
Per questo è narrativa… Tuttavia, la linea non parla: per raccontare deve inventare delle forme adatte a farlo." (Octavio Paz, 1990)
“Senza il seme prezioso dei disegni non ci sarà il raccolto dei dipinti…”, afferma lo stesso artista,
offrendoci un’immagine poetica ed eloquente del suo processo creativo.
È questo “percorso circolare”, esistente tra disegno e pittura nell’opera di Valerio Adami, il fulcro della mostra che, allestita su 4 livelli, pianoterra, sotterraneo, primo e secondo piano, segue un percorso cronologico composto da circa 70 opere.
Sono esposti quadri che vanno dagli anni Cinquanta (L’asino di Empoli e Ballata popolare del 1956) agli anni Sessanta e Settanta (L’uovo rotto, 1964, Il miraggio, 1965, Henry Matisse che lavora a un quaderno di disegni, 1966, La vetrina, 1969, L'università di Lipsia al tempo di Nietzsche, 1972, il trittico Intolerance, 1974 ed Etude pour un dessin d’après Glas, 1976, realizzato a partire dal disegno ispirato al testo di Jacques Derrida e divenuto nel tempo un’icona della decostruzione), opere più mature degli anni Novanta (Marathon, 1990, L’ora del ballo, 1991, Amplesso, 1995, Fortepiano, 1997), accanto a disegni che le hanno precedute o che spesso sono stati eseguiti dall’artista in una fase successiva.
Accompagnano l’esposizione due volumi in edizione bilingue, Valerio Adami 1956-1963. Gli anni a Milano e Valerio Adami 1964-1999. Gli anni di Londra, Parigi, New York, Città del Messico…, editi da Skira e a cura di Amelia Valtolina, nei quali si ripercorre a ritroso, passo dopo passo, il lungo cammino creativo dell’artista e si suggeriscono, attraverso una ricca antologia di testi e documenti, nuove piste di riflessione e di lettura di un’opera complessa e prolifica.
La mostra prosegue allo Studio Marconi ’65 con un nucleo di grafiche e disegni.
Adami realizza nel disegno prima e nel dipinto poi un procedimento virtuoso, in cui confluiscono
associazioni di idee, miti classici, suggestioni letterarie, musicali, cinematografiche, ricordi lontani di esperienze vissute.
Il disegno divide e orienta lo spazio, stabilisce una gerarchia, un positivo e un negativo, vi descrive un ordine e una struttura. Linee e forme si svolgono, si intersecano e si dipanano alla conquista di nuova identità, in un flusso di visione che ricorda il flusso di coscienza di Joyce.
"La linea che è elemento costitutivo del disegno, produttore e generatore di forme, è soggettiva… cammina, si raddoppia senza fine e senza fine ci racconta il suo tragitto…
Per questo è narrativa… Tuttavia, la linea non parla: per raccontare deve inventare delle forme adatte a farlo." (Octavio Paz, 1990)
“Senza il seme prezioso dei disegni non ci sarà il raccolto dei dipinti…”, afferma lo stesso artista,
offrendoci un’immagine poetica ed eloquente del suo processo creativo.
È questo “percorso circolare”, esistente tra disegno e pittura nell’opera di Valerio Adami, il fulcro della mostra che, allestita su 4 livelli, pianoterra, sotterraneo, primo e secondo piano, segue un percorso cronologico composto da circa 70 opere.
Sono esposti quadri che vanno dagli anni Cinquanta (L’asino di Empoli e Ballata popolare del 1956) agli anni Sessanta e Settanta (L’uovo rotto, 1964, Il miraggio, 1965, Henry Matisse che lavora a un quaderno di disegni, 1966, La vetrina, 1969, L'università di Lipsia al tempo di Nietzsche, 1972, il trittico Intolerance, 1974 ed Etude pour un dessin d’après Glas, 1976, realizzato a partire dal disegno ispirato al testo di Jacques Derrida e divenuto nel tempo un’icona della decostruzione), opere più mature degli anni Novanta (Marathon, 1990, L’ora del ballo, 1991, Amplesso, 1995, Fortepiano, 1997), accanto a disegni che le hanno precedute o che spesso sono stati eseguiti dall’artista in una fase successiva.
Accompagnano l’esposizione due volumi in edizione bilingue, Valerio Adami 1956-1963. Gli anni a Milano e Valerio Adami 1964-1999. Gli anni di Londra, Parigi, New York, Città del Messico…, editi da Skira e a cura di Amelia Valtolina, nei quali si ripercorre a ritroso, passo dopo passo, il lungo cammino creativo dell’artista e si suggeriscono, attraverso una ricca antologia di testi e documenti, nuove piste di riflessione e di lettura di un’opera complessa e prolifica.
La mostra prosegue allo Studio Marconi ’65 con un nucleo di grafiche e disegni.