MarioSCHIFANO
Omaggio a Mario Schifano. Al principio fu Vero Amore
11.2018–03.2019
Omaggio a Mario Schifano. Al principio fu Vero Amore
11.2018–03.2019
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Mario Schifano, Installation view, Al principio fu Vero amore, Fondazione Marconi, Milano, 2018
Comunicato stampa
Omaggio a Mario Schifano.
Al principio fu Vero Amore
Inaugurazione: 29 novembre 2018
30 novembre 2018 – 23 marzo 2019
Al principio fu Vero Amore
Inaugurazione: 29 novembre 2018
30 novembre 2018 – 23 marzo 2019
La Fondazione Marconi è lieta di dedicare una mostra a Mario Schifano.
“Caro Mario lavora, stacca il telefono e dimentica tutte le rogne di questo mondo. Un caro saluto.”
La lettera, datata 29 settembre 1965, e indirizzata a Mario Schifano è firmata da Giorgio Marconi alla vigilia della mostra inaugurale del suo primo spazio espositivo. Vero amore è il primo quadro che l’artista romano espone a Studio Marconi nel novembre dello stesso anno, accanto a opere di Valerio Adami, Lucio Del Pezzo ed Emilio Tadini.
Vero amore è anche il titolo della prima personale che egli tiene, sempre da Marconi, appena un mese dopo, nel dicembre 1965. Seguono nell’ordine, a brevissima distanza: Inventario con anima e senza anima, nel novembre 1966, Tuttestelle, nell’ottobre 1967, Compagni, compagni, nel dicembre 1968, e Paesaggi TV, nel dicembre 1970.
È su questo preciso momento della carriera di Mario Schifano che la Fondazione Marconi concentra l’attenzione dedicandogli un omaggio, a vent’anni dalla morte, e ripercorrendo gli inizi della sua collaborazione con Studio Marconi.
La pittura di Schifano nasce nei primi anni Sessanta, dopo un apprendistato all’insegna di esperienze informali. La sua prima mostra ha luogo alla galleria La Salita di Roma nel 1959, insieme a Festa, Angeli, Lo Savio, Uncini.
Nel catalogo della mostra Cesare Vivaldi scrive: “Mario Schifano è forse il talento pittorico più genuino che sia apparso a Roma dopo Burri.” È il momento dei monocromi, originalissimi quadri verniciati con una sola tinta o due, quasi a voler evocare il grado zero della pittura, il raggiungimento di un punto di non ritorno.
Ma è solo un punto di partenza poiché già dal 1962, le sue opere si popolano di frammenti di immagini e segnali del paesaggio metropolitano, per aprirsi poco dopo a nuove espressioni pittoriche con le strade, gli incidenti, la natura “en plein air”, i “paesaggi anemici”, i “particolari” e gli “alberi”. Giorgio Marconi entra in contatto con l’artista in questo periodo, dopo averne visto i lavori alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis e da Mara Coccia.
Acquista le prime opere alla Galleria Odyssia di Federico Quadrani, dove ha l’occasione di conoscerlo di persona. Nella seconda metà del 1963 stabilisce direttamente con lui i primi accordi di collaborazione, che nella primavera dell’anno seguente vengono formalizzati da un contratto di lavoro in esclusiva.
“Caro Mario lavora, stacca il telefono e dimentica tutte le rogne di questo mondo. Un caro saluto.”
La lettera, datata 29 settembre 1965, e indirizzata a Mario Schifano è firmata da Giorgio Marconi alla vigilia della mostra inaugurale del suo primo spazio espositivo. Vero amore è il primo quadro che l’artista romano espone a Studio Marconi nel novembre dello stesso anno, accanto a opere di Valerio Adami, Lucio Del Pezzo ed Emilio Tadini.
Vero amore è anche il titolo della prima personale che egli tiene, sempre da Marconi, appena un mese dopo, nel dicembre 1965. Seguono nell’ordine, a brevissima distanza: Inventario con anima e senza anima, nel novembre 1966, Tuttestelle, nell’ottobre 1967, Compagni, compagni, nel dicembre 1968, e Paesaggi TV, nel dicembre 1970.
È su questo preciso momento della carriera di Mario Schifano che la Fondazione Marconi concentra l’attenzione dedicandogli un omaggio, a vent’anni dalla morte, e ripercorrendo gli inizi della sua collaborazione con Studio Marconi.
La pittura di Schifano nasce nei primi anni Sessanta, dopo un apprendistato all’insegna di esperienze informali. La sua prima mostra ha luogo alla galleria La Salita di Roma nel 1959, insieme a Festa, Angeli, Lo Savio, Uncini.
Nel catalogo della mostra Cesare Vivaldi scrive: “Mario Schifano è forse il talento pittorico più genuino che sia apparso a Roma dopo Burri.” È il momento dei monocromi, originalissimi quadri verniciati con una sola tinta o due, quasi a voler evocare il grado zero della pittura, il raggiungimento di un punto di non ritorno.
Ma è solo un punto di partenza poiché già dal 1962, le sue opere si popolano di frammenti di immagini e segnali del paesaggio metropolitano, per aprirsi poco dopo a nuove espressioni pittoriche con le strade, gli incidenti, la natura “en plein air”, i “paesaggi anemici”, i “particolari” e gli “alberi”. Giorgio Marconi entra in contatto con l’artista in questo periodo, dopo averne visto i lavori alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis e da Mara Coccia.
Acquista le prime opere alla Galleria Odyssia di Federico Quadrani, dove ha l’occasione di conoscerlo di persona. Nella seconda metà del 1963 stabilisce direttamente con lui i primi accordi di collaborazione, che nella primavera dell’anno seguente vengono formalizzati da un contratto di lavoro in esclusiva.
Profondamente affascinato dai suoi quadri, Marconi lo definisce “un vulcano geniale” e lo considera uno dei più grandi talenti pittorici italiani del suo tempo.
Il sodalizio tra i due finisce nel 1970, ma non si estingue l’interesse per l’artista da parte di Marconi che continua a organizzare mostre di sue opere (nel 1974, 1990, 2002) fino alle più recenti del 2005 e 2006, rispettivamente intitolate Schifano 1960-1964. Dal monocromo alla strada e Schifano 1964-1970. Dal paesaggio alla TV, e corredate da due importanti volumi editi da Skira.
Il percorso espositivo mira oggi a ricostruire le mostre che ebbero luogo dal 1965 al 1970; al piano terra si parte da Vero amore (1965), dove l’immagine principale raffigura un albero frondoso, robusto e vitale, ripetuto innumerevoli volte in versioni differenti; seguono Inventario con anima e senza anima (1966) – in cui Schifano presenta il ciclo Futurismo rivisitato, riprendendo la nota fotografia del gruppo futurista scattata a Parigi nel 1912 – e Tuttestelle (1967) in cui le stelle dipinte a spruzzo evocano ricordi infantili e l’artista comincia a utilizzare calotte di perspex trasparente o colorato per ottenere originali effetti di velatura.
Un’intera sala è poi dedicata ai capolavori di grandi dimensioni, mentre al primo piano figurano i Compagni, compagni (1968) ispirati all’attualità politica,in cui la fotografia di alcuni operai o studenti cinesi, muniti di falce e martello, si trasforma in icona mediatica. Il percorso si conclude al secondo piano con i Paesaggi TV (1970) nei quali immagini riprese dallo schermo televisivo, isolate dal contesto e rielaborate con tocchi di colore alla nitro o all’anilina, vengono riportate su tela emulsionata, carta o pellicola.
Se, da un lato, l’obiettivo della mostra è rendere un dovuto omaggio all’artista, dall’altro, si vuol celebrare la sua collaborazione con la storica galleria milanese che aveva da poco iniziato la sua attività.
Il pubblico potrà così vedere (o ri-vedere) opere che furono presentate a Milano in quegli anni – spesso per la prima volta – e che ancor oggi fanno parte integrante della collezione Marconi. Completa il percorso espositivo un’ampia e variegata selezione di materiali di repertorio, tra pubblicazioni, fotografie, scritti.
Il sodalizio tra i due finisce nel 1970, ma non si estingue l’interesse per l’artista da parte di Marconi che continua a organizzare mostre di sue opere (nel 1974, 1990, 2002) fino alle più recenti del 2005 e 2006, rispettivamente intitolate Schifano 1960-1964. Dal monocromo alla strada e Schifano 1964-1970. Dal paesaggio alla TV, e corredate da due importanti volumi editi da Skira.
Il percorso espositivo mira oggi a ricostruire le mostre che ebbero luogo dal 1965 al 1970; al piano terra si parte da Vero amore (1965), dove l’immagine principale raffigura un albero frondoso, robusto e vitale, ripetuto innumerevoli volte in versioni differenti; seguono Inventario con anima e senza anima (1966) – in cui Schifano presenta il ciclo Futurismo rivisitato, riprendendo la nota fotografia del gruppo futurista scattata a Parigi nel 1912 – e Tuttestelle (1967) in cui le stelle dipinte a spruzzo evocano ricordi infantili e l’artista comincia a utilizzare calotte di perspex trasparente o colorato per ottenere originali effetti di velatura.
Un’intera sala è poi dedicata ai capolavori di grandi dimensioni, mentre al primo piano figurano i Compagni, compagni (1968) ispirati all’attualità politica,in cui la fotografia di alcuni operai o studenti cinesi, muniti di falce e martello, si trasforma in icona mediatica. Il percorso si conclude al secondo piano con i Paesaggi TV (1970) nei quali immagini riprese dallo schermo televisivo, isolate dal contesto e rielaborate con tocchi di colore alla nitro o all’anilina, vengono riportate su tela emulsionata, carta o pellicola.
Se, da un lato, l’obiettivo della mostra è rendere un dovuto omaggio all’artista, dall’altro, si vuol celebrare la sua collaborazione con la storica galleria milanese che aveva da poco iniziato la sua attività.
Il pubblico potrà così vedere (o ri-vedere) opere che furono presentate a Milano in quegli anni – spesso per la prima volta – e che ancor oggi fanno parte integrante della collezione Marconi. Completa il percorso espositivo un’ampia e variegata selezione di materiali di repertorio, tra pubblicazioni, fotografie, scritti.