Comunicato stampa
Gli Abitanti del Museo n. 2 Emilio Tadini
Color & Co.,1969 / Archeologia, 1973 / Museo dell’uomo, 1974/ L’occhio della pittura, 1978
Inaugurazione: 19 novembre 2009
20 novembre 2009 – 16 gennaio 2010
Color & Co.,1969 / Archeologia, 1973 / Museo dell’uomo, 1974/ L’occhio della pittura, 1978
Inaugurazione: 19 novembre 2009
20 novembre 2009 – 16 gennaio 2010
La Fondazione Marconi è lieta di annunciare il secondo appuntamento del nuovo ciclo di mostre, Gli Abitanti del Museo, dedicato a un gruppo di opere di Emilio Tadini, Color & Co. del 1969, Archeologia del 1973, Museo dell’uomo del 1974 e L’occhio della pittura del 1978, esposte dagli anni Settanta ad oggi in mostre personali e collettive presso importanti musei.
Queste opere hanno testimoniato il lavoro di Tadini in mostre rappresentative dell’arte italiana come 20 Artistas Italianos del Museo de Arte Moderno di Città del Messico nel 1971, Arte Italiana 1960-1982 alla Hayward Gallery di Londra nel 1982 e Italics. Arte Italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008 a Palazzo Grassi, Venezia nel 2008.
Non solo, hanno anche fatto parte di mostre antologiche dedicate ad Emilio Tadini come quella itinerante tenutasi tra il 1995 e il 1996 nei tre musei tedeschi, l’Institut Mathildenhoe di Darmstadt, il Kulturhistorisches Museum di Stralsund e il Bochum Museum di Bochum e quella che si è tenuta a Milano a Palazzo Reale nel 2001.
Con questo nuovo ciclo di mostre, Gli Abitanti del Museo, Giorgio Marconi vuole essere più specifico e “provocatorio” nella revisione del lavoro svolto nei quarantanni dello Studio Marconi (1965-1992) partendo dall’analisi di opere esposte nei musei con una rilettura in base agli scritti dell’epoca e di oggi.
Riprendendo l’idea dei “giornalini” dello Studio Marconi degli anni Settanta e inizio Ottanta, le mostre del ciclo degli Abitanti del Museo saranno accompagnate dai Quaderni della Fondazione Marconi.
Il secondo numero dedicato a Tadini riproporrà una selezione di testi critici del passato tra i quali si segnalano quello di Guido Ballo, Marco Livingstone e Roberto Sanesi, assieme a due nuovi testi scritti appositamente da Arturo Carlo Quintavalle e Klaus Wolbert su Color & Co., Archeologia, Museo dell’uomo e L’occhio della pittura.
Klaus Wolbert descrive Emilio Tadini come “un letterato che ha mostrato talento e ottenuto successo anche come saggista, critico e giornalista; ama definirsi in pittura un propugnatore di una visione illuminata, razionale e riflessiva del mondo, così come delle tematiche intorno alle quali ruotano i suoi interessi.”
Queste opere hanno testimoniato il lavoro di Tadini in mostre rappresentative dell’arte italiana come 20 Artistas Italianos del Museo de Arte Moderno di Città del Messico nel 1971, Arte Italiana 1960-1982 alla Hayward Gallery di Londra nel 1982 e Italics. Arte Italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008 a Palazzo Grassi, Venezia nel 2008.
Non solo, hanno anche fatto parte di mostre antologiche dedicate ad Emilio Tadini come quella itinerante tenutasi tra il 1995 e il 1996 nei tre musei tedeschi, l’Institut Mathildenhoe di Darmstadt, il Kulturhistorisches Museum di Stralsund e il Bochum Museum di Bochum e quella che si è tenuta a Milano a Palazzo Reale nel 2001.
Con questo nuovo ciclo di mostre, Gli Abitanti del Museo, Giorgio Marconi vuole essere più specifico e “provocatorio” nella revisione del lavoro svolto nei quarantanni dello Studio Marconi (1965-1992) partendo dall’analisi di opere esposte nei musei con una rilettura in base agli scritti dell’epoca e di oggi.
Riprendendo l’idea dei “giornalini” dello Studio Marconi degli anni Settanta e inizio Ottanta, le mostre del ciclo degli Abitanti del Museo saranno accompagnate dai Quaderni della Fondazione Marconi.
Il secondo numero dedicato a Tadini riproporrà una selezione di testi critici del passato tra i quali si segnalano quello di Guido Ballo, Marco Livingstone e Roberto Sanesi, assieme a due nuovi testi scritti appositamente da Arturo Carlo Quintavalle e Klaus Wolbert su Color & Co., Archeologia, Museo dell’uomo e L’occhio della pittura.
Klaus Wolbert descrive Emilio Tadini come “un letterato che ha mostrato talento e ottenuto successo anche come saggista, critico e giornalista; ama definirsi in pittura un propugnatore di una visione illuminata, razionale e riflessiva del mondo, così come delle tematiche intorno alle quali ruotano i suoi interessi.”
Tra le tematiche sviluppate dall’artista tra il 1969 e il 1974, rientrano i cicli Color & Co., Archeologia e Museo dell’uomo, di cui quindici opere, già ospitate nei musei sopra citati, saranno esposte al primo e secondo piano della Fondazione Marconi.
In Color & Co, come scrive Wolbert, “Tadini pone in discussione cosa sia un dipinto nella sostanza pittorica e quale sia il fattore determinante per un’opera d’arte”; la pittura è ridotta a vasetti e vasche di colore dissociando così il colore dall’immagine e sottolineandone quindi la materialità ma che prende forma e “forme” nelle combinazioni dei colori: non c’è nessuna allusione metafisica, ma è solo rappresentato l’oggetto in quanto oggetto.
In Archeologia, messe in scena di oggetti appaiono nello spazio pittorico: la poltrona, la pianta, la maschera e il manichino sono ricordi. Per Tadini, infatti, “archeologia” è rievocare la memoria; Quintavalle, a questo proposito, sottolinea: “Archeologia è quindi prima scomposizione, perché il sogno e la pittura dissociano, isolandoli, gli oggetti, poi ricerca di associazioni diverse che siano comunque significative, lo spostamento”. In Museo dell’uomo la scena si allarga, si moltiplicano i personaggi e gli oggetti volano in tutte le direzioni perdendo completamente il loro senso e la loro funzione. Un caos privo di angoscia e tristezza: una semplice constatazione dell’attuale condizione umana.
Compaiono qui le parole che sconfinano dal testo e s’inseriscono nella pittura quali immagini come riferimenti all’universo letterario del Tadini scrittore. Quintavalle, prendendo ad esempio, il grande dipinto intitolato Festa e forma del cibo, scrive: “Tadini intende la pittura come regressione all’originario e quindi attraverso l’inconscio intende restituire a questo apparente disordine, un ordine diverso, quello della ragione, da qui forse il titolo che propone un bisogno primario, quello del cibo, ma anche la sua trasformazione negli oggetti ossessivi della società del consumo”.
In Color & Co, come scrive Wolbert, “Tadini pone in discussione cosa sia un dipinto nella sostanza pittorica e quale sia il fattore determinante per un’opera d’arte”; la pittura è ridotta a vasetti e vasche di colore dissociando così il colore dall’immagine e sottolineandone quindi la materialità ma che prende forma e “forme” nelle combinazioni dei colori: non c’è nessuna allusione metafisica, ma è solo rappresentato l’oggetto in quanto oggetto.
In Archeologia, messe in scena di oggetti appaiono nello spazio pittorico: la poltrona, la pianta, la maschera e il manichino sono ricordi. Per Tadini, infatti, “archeologia” è rievocare la memoria; Quintavalle, a questo proposito, sottolinea: “Archeologia è quindi prima scomposizione, perché il sogno e la pittura dissociano, isolandoli, gli oggetti, poi ricerca di associazioni diverse che siano comunque significative, lo spostamento”. In Museo dell’uomo la scena si allarga, si moltiplicano i personaggi e gli oggetti volano in tutte le direzioni perdendo completamente il loro senso e la loro funzione. Un caos privo di angoscia e tristezza: una semplice constatazione dell’attuale condizione umana.
Compaiono qui le parole che sconfinano dal testo e s’inseriscono nella pittura quali immagini come riferimenti all’universo letterario del Tadini scrittore. Quintavalle, prendendo ad esempio, il grande dipinto intitolato Festa e forma del cibo, scrive: “Tadini intende la pittura come regressione all’originario e quindi attraverso l’inconscio intende restituire a questo apparente disordine, un ordine diverso, quello della ragione, da qui forse il titolo che propone un bisogno primario, quello del cibo, ma anche la sua trasformazione negli oggetti ossessivi della società del consumo”.