GianluigiCOLIN
Gianluigi Colin. Mitografie
04.2012–05.2012
Gianluigi Colin. Mitografie
04.2012–05.2012
1/5
Gianluigi Colin, Installation view, Mitografie, Fondazione Marconi, Milan, 2012 Foto: Gianni Ummarino
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Gianluigi Colin
Venere/It's Show time, 2009-2011
Stampa con pigmenti naturali su carta da quotidiano
175 x 245 cm
Venere/It's Show time, 2009-2011
Stampa con pigmenti naturali su carta da quotidiano
175 x 245 cm
Comunicato stampa
Gianluigi Colin.
Mitografie
Inaugurazione: 13 aprile 2012
14 aprile – 17 maggio 2012
Mitografie
Inaugurazione: 13 aprile 2012
14 aprile – 17 maggio 2012
La Fondazione Marconi ha il piacere di annunciare la mostra Mitografie di Gianluigi Colin.
Gianluigi Colin, voce originale e autonoma nel panorama dell’arte italiana, mette al centro della sua riflessione i simboli della nostra contemporaneità utilizzando il “materiale che il mondo gli offre”: soggetti delle sue opere sono le icone e gli eventi del presente, selezionate in quell’oceano di informazioni che i mezzi di comunicazione di massa ci presentano incessantemente.
Nel lavoro di Colin c’è un dialogo costante tra immagini e parole, che trova le sue radici nelle teorie del più grande semiologo del XX secolo, Roland Barthes.
Mitografie vuole proporre al pubblico parte della mostra, da cui il titolo, realizzata qualche mese fa al museo IVAM (Instituto Valenciano de Arte Moderno) di Valencia.
Dodici opere di grande formato suddivise in quattro gruppi: Venere, Marte, Saturno e Mercurio.
Nelle sue Mitografie, Gianluigi Colin muove da una interrogazione: cosa sono diventati – per noi - Mercurio, Marte, Saturno e Venere?
La sua scommessa non consiste nell'avviare un percorso nostalgico. Prova a rintracciare sopravvivenze lontane. Scruta i tanti e spesso distratti affioramenti della classicità disseminati negli interstizi del nostro presente. Si serve del mito come di uno strumento privilegiato non per uscire da "questo" mondo, ma per attraversarlo e comprenderlo.
L’artista riflette sul modo in cui la società contemporanea reinterpreta e rielabora la mitologia classica, partendo da dettagli in cui si imbatte per caso e che colpiscono la sua immaginazione.
Si tratta di opere di grande formato che indagano il rapporto tra miti classici e contemporanei.
Sono messaggi chiari, di forte impatto visivo, che ci aiutano a leggere un presente sempre più confuso.
È lo stesso Colin a dichiararlo: “Se nel passato la tradizione orale o le grandi narrazioni classiche rappresentavano un racconto corale che diventava forma delle nostre paure, gioie e dolori, oggi i miti si sedimentano nella nostra mente attraverso le copertine dei settimanali, li facciamo nostri guardando la televisione, andando al cinema. E il mondo dei media rappresenta una specie di nuovo Olimpo dove tutte queste divinità, molto terrene eppure così irraggiungibili, mandano messaggi ai 'poveri mortali', condizionandoli, modificando le loro azioni, in qualche modo plasmando le loro coscienze.”
Gianluigi Colin, voce originale e autonoma nel panorama dell’arte italiana, mette al centro della sua riflessione i simboli della nostra contemporaneità utilizzando il “materiale che il mondo gli offre”: soggetti delle sue opere sono le icone e gli eventi del presente, selezionate in quell’oceano di informazioni che i mezzi di comunicazione di massa ci presentano incessantemente.
Nel lavoro di Colin c’è un dialogo costante tra immagini e parole, che trova le sue radici nelle teorie del più grande semiologo del XX secolo, Roland Barthes.
Mitografie vuole proporre al pubblico parte della mostra, da cui il titolo, realizzata qualche mese fa al museo IVAM (Instituto Valenciano de Arte Moderno) di Valencia.
Dodici opere di grande formato suddivise in quattro gruppi: Venere, Marte, Saturno e Mercurio.
Nelle sue Mitografie, Gianluigi Colin muove da una interrogazione: cosa sono diventati – per noi - Mercurio, Marte, Saturno e Venere?
La sua scommessa non consiste nell'avviare un percorso nostalgico. Prova a rintracciare sopravvivenze lontane. Scruta i tanti e spesso distratti affioramenti della classicità disseminati negli interstizi del nostro presente. Si serve del mito come di uno strumento privilegiato non per uscire da "questo" mondo, ma per attraversarlo e comprenderlo.
L’artista riflette sul modo in cui la società contemporanea reinterpreta e rielabora la mitologia classica, partendo da dettagli in cui si imbatte per caso e che colpiscono la sua immaginazione.
Si tratta di opere di grande formato che indagano il rapporto tra miti classici e contemporanei.
Sono messaggi chiari, di forte impatto visivo, che ci aiutano a leggere un presente sempre più confuso.
È lo stesso Colin a dichiararlo: “Se nel passato la tradizione orale o le grandi narrazioni classiche rappresentavano un racconto corale che diventava forma delle nostre paure, gioie e dolori, oggi i miti si sedimentano nella nostra mente attraverso le copertine dei settimanali, li facciamo nostri guardando la televisione, andando al cinema. E il mondo dei media rappresenta una specie di nuovo Olimpo dove tutte queste divinità, molto terrene eppure così irraggiungibili, mandano messaggi ai 'poveri mortali', condizionandoli, modificando le loro azioni, in qualche modo plasmando le loro coscienze.”
L’artista lavora “dentro un mondo di carta” operando con una tecnica complessa: attinge immagini dai quotidiani, accartoccia quei fogli, li fotografa e li stampa su carta di giornale.
Il materiale viene poi incollato su un’ulteriore stratificazione fatta di sedimentazioni di carta sempre di giornale e da ultimo l’artista interviene sulla sua opera con nuove stropicciature.
Quasi un tentativo di preservare quelle immagini e quelle parole dall’inevitabile destino dei quotidiani a cui appartengono: la breve durata di ventiquattrore.
Scrive Gillo Dorfles: “Colin – rivendicatore e 'decontesatatore' di un'arte elaborata e sublimata 'con le sue mani' – finisce per ottenere un'immagine mitica del nostro tempo e insieme ammonitrice di vicende future. Ma restituisce anche – e va sottolineato – un'immagine plastica e figurativa (senza bisogno di pennelli, di sgorbi che spesso ne tradiscono l'autentica valenza). Un'immagine, in definitiva, che testimonia molto bene l'aspetto della più recente creatività italiana. E che non ha bisogno di ostentare le etichette di 'arte' o di cronaca. C'è solo un modo davvero appropriato per commentare queste opere: 'mitografia estetica'".
Scrive Barbara Rose, che ha curato la recente mostra al Museo Madre di Napoli: “Colin pensa che oggi la realtà sia percepita come uno stravagante mosaico formato da frammenti adiacenti e sovrapposti di immagini riprodotte fotograficamente. Appartiene al novero di quegli artisti che vogliono essere testimoni della storia come Goya, Rauschenberg e Warhol. Invece di limitarsi a riprodurre un’immagine fotografica, però, Colin la trasforma, stropicciando e deformando la pagina stampata su cui è impressa per poi fotografarne gli effetti di rilievo scultoreo”.
Scrive Vincenzo Trione che ha curato la sua mostra all’IVAM: “Colin compone affreschi postmoderni, nei quali si rompe ogni centralità. Impegnato a portarsi al di là delle regole consuete del racconto, estrae frammenti senza origine, che fonde in almanacchi eccentrici, che rivelano un audace post-realismo. È come assistere a un seduttivo naufragio. L'opera si dona come tessuto increspato, arsenale di memorie sfrangiate, mare agitato da onde, esercizio dotato di un'inattesa consistenza plastica e poetica”.
Per l’occasione sarà pubblicato il Quaderno della Fondazione Marconi n. 7 una pubblicazione che raccoglie immagini delle opere esposte, fotografie, con testi di Gillo Dorfles, Umberto Galimberti, Giorgio Marconi, Arturo Pèrez-Reverte, Arturo Carlo Quintavalle, Barbara Rose e Vincenzo Trione.
Allo Studio Marconi ’65 sarà presentata una retrospettiva con opere di piccolo formato dal 1995 ad oggi.
Il materiale viene poi incollato su un’ulteriore stratificazione fatta di sedimentazioni di carta sempre di giornale e da ultimo l’artista interviene sulla sua opera con nuove stropicciature.
Quasi un tentativo di preservare quelle immagini e quelle parole dall’inevitabile destino dei quotidiani a cui appartengono: la breve durata di ventiquattrore.
Scrive Gillo Dorfles: “Colin – rivendicatore e 'decontesatatore' di un'arte elaborata e sublimata 'con le sue mani' – finisce per ottenere un'immagine mitica del nostro tempo e insieme ammonitrice di vicende future. Ma restituisce anche – e va sottolineato – un'immagine plastica e figurativa (senza bisogno di pennelli, di sgorbi che spesso ne tradiscono l'autentica valenza). Un'immagine, in definitiva, che testimonia molto bene l'aspetto della più recente creatività italiana. E che non ha bisogno di ostentare le etichette di 'arte' o di cronaca. C'è solo un modo davvero appropriato per commentare queste opere: 'mitografia estetica'".
Scrive Barbara Rose, che ha curato la recente mostra al Museo Madre di Napoli: “Colin pensa che oggi la realtà sia percepita come uno stravagante mosaico formato da frammenti adiacenti e sovrapposti di immagini riprodotte fotograficamente. Appartiene al novero di quegli artisti che vogliono essere testimoni della storia come Goya, Rauschenberg e Warhol. Invece di limitarsi a riprodurre un’immagine fotografica, però, Colin la trasforma, stropicciando e deformando la pagina stampata su cui è impressa per poi fotografarne gli effetti di rilievo scultoreo”.
Scrive Vincenzo Trione che ha curato la sua mostra all’IVAM: “Colin compone affreschi postmoderni, nei quali si rompe ogni centralità. Impegnato a portarsi al di là delle regole consuete del racconto, estrae frammenti senza origine, che fonde in almanacchi eccentrici, che rivelano un audace post-realismo. È come assistere a un seduttivo naufragio. L'opera si dona come tessuto increspato, arsenale di memorie sfrangiate, mare agitato da onde, esercizio dotato di un'inattesa consistenza plastica e poetica”.
Per l’occasione sarà pubblicato il Quaderno della Fondazione Marconi n. 7 una pubblicazione che raccoglie immagini delle opere esposte, fotografie, con testi di Gillo Dorfles, Umberto Galimberti, Giorgio Marconi, Arturo Pèrez-Reverte, Arturo Carlo Quintavalle, Barbara Rose e Vincenzo Trione.
Allo Studio Marconi ’65 sarà presentata una retrospettiva con opere di piccolo formato dal 1995 ad oggi.