EmilioTADINI
Emilio Tadini 1985 – 1997. Refugees, Philosophers, the City and the Night
09.2012–10.2012
Emilio Tadini 1985 – 1997. Refugees, Philosophers, the City and the Night
09.2012–10.2012
EmilioTADINI
Comunicato stampa
Emilio Tadini 1985-1997
I profughi, i filosofi, la città e la notte
Inaugurazione: 18 settembre 2012
19 settembre – 31 ottobre 2012
I profughi, i filosofi, la città e la notte
Inaugurazione: 18 settembre 2012
19 settembre – 31 ottobre 2012
La Fondazione Marconi ha il piacere di presentare la mostra Emilio Tadini 1985-1997. I profughi, i filosofi, la città, la notte, organizzata in occasione del decennale dalla scomparsa dell’artista.
La mostra, allestita su tre piani dello spazio espositivo, è dedicata alla produzione del pittore negli anni dal 1985 al 1997 e si propone come logico proseguimento della rassegna Emilio Tadini 1960-1985. L’occhio della pittura, allestita nel 2007 negli spazi della Fondazione Marconi, della Fondazione Mudima e dell’Accademia di Belle Arti di Brera, dedicata al lavoro di Tadini dagli esordi fino al 1985.
Considerato uno tra i personaggi più originali del dibattito culturale del secondo dopoguerra italiano, fin dagli anni Sessanta Emilio Tadini sviluppa la propria pittura per grandi cicli, popolati da un clima surreale in cui confluiscono elementi letterari, onirici, personaggi e oggetti quotidiani, spesso frammentari, dove le leggi di spazio e tempo e quelle della gravità sono totalmente annullate.
A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta l’attenzione di Tadini si concentra su temi e soluzioni stilistiche che emergeranno poi con forza nei trittici del decennio successivo.
Innanzitutto il tema della città, sviluppato nella serie Città italiane, dove emergono frammenti di architetture: un’architettura stravolta, fatta di edifici imponenti accumulati uno sull’altro, che comunicano una sensazione quasi claustrofobica.
Un altro tema, che sarà poi sviluppato nei trittici, è quello del profugo. L’artista racconta di essere stato affascinato fin da piccolo dalle fotografie di profughi sui giornali: “Quella del profugo mi sembra una metafora che rappresenta bene la nostra condizione attuale – la condizione della nostra cultura, alta o bassa che sia. Sbarcare, andar via… lasciare la casa delle certezze, delle sicurezze… Può capitare che il profugo si lasci dietro, fra tante altre cose, anche qualche frammento del famoso soggetto. Ma non è certo il caso di farne una tragedia…”
In un quadro del 1986 c’è una figura che ha sulle spalle un armadio aperto da cui scivolano via oggetti personali, libri, pennelli, tubetti di pittura: insomma, i ricordi del personaggio, la sua memoria.
Sul fondo del quadro, la parola “Refugee”.
La serie Inno alla notte ha come protagonisti figure isolate, pensierose, come quella in cui compare la scritta “pietas”, nel buio delle ore notturne, illuminate solo dalla debole luce di una candela.
La mostra, allestita su tre piani dello spazio espositivo, è dedicata alla produzione del pittore negli anni dal 1985 al 1997 e si propone come logico proseguimento della rassegna Emilio Tadini 1960-1985. L’occhio della pittura, allestita nel 2007 negli spazi della Fondazione Marconi, della Fondazione Mudima e dell’Accademia di Belle Arti di Brera, dedicata al lavoro di Tadini dagli esordi fino al 1985.
Considerato uno tra i personaggi più originali del dibattito culturale del secondo dopoguerra italiano, fin dagli anni Sessanta Emilio Tadini sviluppa la propria pittura per grandi cicli, popolati da un clima surreale in cui confluiscono elementi letterari, onirici, personaggi e oggetti quotidiani, spesso frammentari, dove le leggi di spazio e tempo e quelle della gravità sono totalmente annullate.
A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta l’attenzione di Tadini si concentra su temi e soluzioni stilistiche che emergeranno poi con forza nei trittici del decennio successivo.
Innanzitutto il tema della città, sviluppato nella serie Città italiane, dove emergono frammenti di architetture: un’architettura stravolta, fatta di edifici imponenti accumulati uno sull’altro, che comunicano una sensazione quasi claustrofobica.
Un altro tema, che sarà poi sviluppato nei trittici, è quello del profugo. L’artista racconta di essere stato affascinato fin da piccolo dalle fotografie di profughi sui giornali: “Quella del profugo mi sembra una metafora che rappresenta bene la nostra condizione attuale – la condizione della nostra cultura, alta o bassa che sia. Sbarcare, andar via… lasciare la casa delle certezze, delle sicurezze… Può capitare che il profugo si lasci dietro, fra tante altre cose, anche qualche frammento del famoso soggetto. Ma non è certo il caso di farne una tragedia…”
In un quadro del 1986 c’è una figura che ha sulle spalle un armadio aperto da cui scivolano via oggetti personali, libri, pennelli, tubetti di pittura: insomma, i ricordi del personaggio, la sua memoria.
Sul fondo del quadro, la parola “Refugee”.
La serie Inno alla notte ha come protagonisti figure isolate, pensierose, come quella in cui compare la scritta “pietas”, nel buio delle ore notturne, illuminate solo dalla debole luce di una candela.
Nella serie Oltremare una sorta di Pinocchio surreale galleggia su uno sfondo blu notte in cui compaiono le parole “Now” e “here”, che in un quadro diventano “Nowhere”, come a dire che, quello del dipinto, non è uno spazio reale. Sono opere, queste, gremite di figure e di colore, ed è da qui che inizia il lavoro di Tadini ai trittici: grandi dipinti in cui la sovrabbondanza di elementi che caratterizzava le opere precedenti viene portata all’eccesso nel momento in cui lo spazio del quadro viene triplicato e, soprattutto, la pittura si fa narrazione.
“Tadini vuole dipingere come si scrive un romanzo, non vuole la compresenza delle figure, ma una lettura in successione, vuole che vi siano cause ed effetti, che vi sia un inizio e una fine, che vi sia un climax dell’azione e vi siano delle pause”, scrive uno dei più autorevoli studiosi dell’arista, Arturo Carlo Quintavalle.
Nei trittici è la figura a prevalere: un sovrapporsi quasi ossessivo di corpi, come nel Corridore notturno, in Music Hall e Insomnia Night.
Sei dei trittici in mostra sono dedicati al tema del Ballo dei filosofi: figure oppresse, decostruite, costrette in spazi angusti: “È necessario recuperare le figure, scrive Tadini, e allude all’umanità delle persone, ma qui sono proprio le loro dimensioni, le loro assurde proporzioni, i loro rapporti a rendere impossibile il compito” (sempre Quintavalle). Sono esposte, infine, alcune carte di grande formato (150 x 100 cm), Chateau d’amour, Aux cieux vagues, manichini che vagano nello spazio, come la serie dedicata alle Figure, rappresentate attraverso giacche colorate appese a grucce.
Scrive Tadini: “Il foglio di carta è il materiale ideale per sperimentare, per mettere alla prova certe idee, e soprattutto per abbandonarmi alle idee che vengono da sole – o meglio: alle idee che sono il prodotto di associazioni e relazioni che probabilmente hanno avuto luogo, senza che io potessi rendermene conto, in qualche zona semibuia della mia coscienza, e, magari, a grandissima velocità.”
Durante il periodo della mostra alla Fondazione Marconi, lo Studio Marconi ’65 ospiterà una selezione di opere serigrafiche di Emilio Tadini realizzate nello stesso periodo.
In occasione della mostra la casa editrice Skira pubblicherà un volume di oltre 200 pagine dedicato all’attività di Emilio Tadini tra il 1985 e il 1997, con più di 150 riproduzioni di opere di quegli anni, un saggio inedito di Arturo Carlo Quintavalle e un’ampia antologia di testi critici illustrati con fotografie e documenti dell’epoca.
“Tadini vuole dipingere come si scrive un romanzo, non vuole la compresenza delle figure, ma una lettura in successione, vuole che vi siano cause ed effetti, che vi sia un inizio e una fine, che vi sia un climax dell’azione e vi siano delle pause”, scrive uno dei più autorevoli studiosi dell’arista, Arturo Carlo Quintavalle.
Nei trittici è la figura a prevalere: un sovrapporsi quasi ossessivo di corpi, come nel Corridore notturno, in Music Hall e Insomnia Night.
Sei dei trittici in mostra sono dedicati al tema del Ballo dei filosofi: figure oppresse, decostruite, costrette in spazi angusti: “È necessario recuperare le figure, scrive Tadini, e allude all’umanità delle persone, ma qui sono proprio le loro dimensioni, le loro assurde proporzioni, i loro rapporti a rendere impossibile il compito” (sempre Quintavalle). Sono esposte, infine, alcune carte di grande formato (150 x 100 cm), Chateau d’amour, Aux cieux vagues, manichini che vagano nello spazio, come la serie dedicata alle Figure, rappresentate attraverso giacche colorate appese a grucce.
Scrive Tadini: “Il foglio di carta è il materiale ideale per sperimentare, per mettere alla prova certe idee, e soprattutto per abbandonarmi alle idee che vengono da sole – o meglio: alle idee che sono il prodotto di associazioni e relazioni che probabilmente hanno avuto luogo, senza che io potessi rendermene conto, in qualche zona semibuia della mia coscienza, e, magari, a grandissima velocità.”
Durante il periodo della mostra alla Fondazione Marconi, lo Studio Marconi ’65 ospiterà una selezione di opere serigrafiche di Emilio Tadini realizzate nello stesso periodo.
In occasione della mostra la casa editrice Skira pubblicherà un volume di oltre 200 pagine dedicato all’attività di Emilio Tadini tra il 1985 e il 1997, con più di 150 riproduzioni di opere di quegli anni, un saggio inedito di Arturo Carlo Quintavalle e un’ampia antologia di testi critici illustrati con fotografie e documenti dell’epoca.