ArnaldoPOMODORO
Arnaldo Pomodoro. A Hundredth of a Second
12.2016–02.2017
Arnaldo Pomodoro. A Hundredth of a Second
12.2016–02.2017
ArnaldoPOMODORO
Comunicato stampa
Arnaldo Pomodoro
Un centesimo di secondo
Inaugurazione: 1 dicembre 2016
2 dicembre – 4 febbraio 2017
Un centesimo di secondo
Inaugurazione: 1 dicembre 2016
2 dicembre – 4 febbraio 2017
In occasione della grande antologica che celebra i 90 anni di Arnaldo Pomodoro, promossa dal Comune di Milano-Cultura e curata da Ada Masoero in collaborazione con la Fondazione Arnaldo Pomodoro, la Fondazione Marconi rende omaggio a questo autorevole protagonista del Novecento riproponendo la mostra Un centesimo di secondo.
Incentrata sulle ricerche del maestro relative al movimento delle masse scultoree, l’esposizione, che ebbe luogo nel 1971 allo Studio Marconi, comprende una selezione di opere realizzate dal 1966 al 1971 (grandi disegni, studi, sculture in acciaio e fiberglass).
“La più insistente metafora di Arnaldo Pomodoro è stata quella di rompere l’involucro o la pelle delle cose allo scopo di raggiungere un fragile e vulnerabile midollo”, scrive Sam Hunter nel 1974, cogliendo appieno l’essenza di un’indagine artistica iniziata dallo scultore già negli anni Sessanta.
E in effetti, “scoprire cosa c’è dentro una forma che in superficie sembra tanto perfetta e assoluta” è la dichiarazione di intenti che Pomodoro rende al critico statunitense in un’intervista dello stesso anno.
Tutta l’essenza dell’arte di Arnaldo Pomodoro sta nell’immagine spaccata di una forma perfetta e coerente; la sua metafora personale nel dialogo tra esterno e interno, quasi sempre presente nelle sue opere. A questa dialettica corrispondono molteplici significati.
Distruggendo le forme tradizionali Arnaldo Pomodoro esprime la libertà da ogni costrizione; portare a galla l’energia della materia significa privare la forma geometrica della sua staticità fisica e metterne in dubbio la stabilità ideologica, ipotizzando così un nuovo tipo di monumento. Infine, liberare la scultura dalla ponderalità gravitazionale, fa in modo che essa acquisisca una sua dinamica e la trasformi in “scultura in movimento”.
Incentrata sulle ricerche del maestro relative al movimento delle masse scultoree, l’esposizione, che ebbe luogo nel 1971 allo Studio Marconi, comprende una selezione di opere realizzate dal 1966 al 1971 (grandi disegni, studi, sculture in acciaio e fiberglass).
“La più insistente metafora di Arnaldo Pomodoro è stata quella di rompere l’involucro o la pelle delle cose allo scopo di raggiungere un fragile e vulnerabile midollo”, scrive Sam Hunter nel 1974, cogliendo appieno l’essenza di un’indagine artistica iniziata dallo scultore già negli anni Sessanta.
E in effetti, “scoprire cosa c’è dentro una forma che in superficie sembra tanto perfetta e assoluta” è la dichiarazione di intenti che Pomodoro rende al critico statunitense in un’intervista dello stesso anno.
Tutta l’essenza dell’arte di Arnaldo Pomodoro sta nell’immagine spaccata di una forma perfetta e coerente; la sua metafora personale nel dialogo tra esterno e interno, quasi sempre presente nelle sue opere. A questa dialettica corrispondono molteplici significati.
Distruggendo le forme tradizionali Arnaldo Pomodoro esprime la libertà da ogni costrizione; portare a galla l’energia della materia significa privare la forma geometrica della sua staticità fisica e metterne in dubbio la stabilità ideologica, ipotizzando così un nuovo tipo di monumento. Infine, liberare la scultura dalla ponderalità gravitazionale, fa in modo che essa acquisisca una sua dinamica e la trasformi in “scultura in movimento”.
“Le erosioni e le esplosioni nelle sue forme non sono mai già accadute e concluse: ma sono viste in un momento del loro inarrestabile divenire. La scultura di Pomodoro è sempre processo in movimento.” (D. Porzio, 1976)
Proprio al movimento si riferisce l’artista nel catalogo che accompagna la mostra del 1971 quando afferma: “Sento oggi un enorme e maestoso movimento di crollo”.
Nel breve testo in cui declina la sua poetica, sostiene di aver ormai raggiunto la massima consapevolezza delle sue operazioni mentali su sferoidi e cilindri e che la sua ricerca si appresta ora a far prevalere l’elemento del significato su quello del movimento delle masse scultoree. Precisa che non si tratta di un significato semantico o letterario ma di una sorta di visione ironica e controcorrente, in grado di accentuare il disequilibrio tra natura e visione, ordine prestabilito e imprevedibile invenzione. In ciò consiste il “movimento di crollo”, enorme e maestoso, che si sprigiona dalle colonne recise e in bilico raffigurate nei grandi disegni, o eseguite in lucido bronzo riflettente.
Da un lato, la rottura delle forme permette all’artista di scoprirne le fermentazioni interne, “misteriose e pure”, rispondendo a un bisogno di scoperta altrimenti insoddisfatto.
Dall’altro, la superficie specchiante delle opere permette di restituire la percezione di tutto ciò che è intorno alla scultura facendola diventare parte integrante della stessa.
“Credo che i riflessi della luce abbiano molta importanza. Durante il giorno, alla luce del sole, o all’ombra, le sculture davvero cambiano. Gli effetti specchianti includono ciò che vi sta attorno, lo spettatore… Questo rende la scultura viva, una parte di noi, della natura, in qualsiasi luogo si trovi.” (A. Pomodoro, 1974)
Così Marco Valsecchi, all’indomani dell’inaugurazione della mostra, descrive le opere esposte in un articolo apparso sul “Giorno” del 17 giugno 1971: “…colonne corrose e quindi spaccate: per la lunghezza, quasi le avesse colpite il fulmine, che le ha divise in due rivelando gli incastri e le giunture interne. Un’altra invece è tagliata a metà per largo ed è sul punto di crollare con metà del cilindro già fuori asse.” E prosegue “dinanzi a questa colonna dimezzata dal taglio netto, si prova lo shock del crollo imminente, che la parte superiore scivoli a terra e vada in frantumi con grande fracasso, e noi la si sorprenda nell’attimo, estremo, un centesimo di secondo appunto, prima della sua corsa rovinosa. Che invece non avviene.”
A quarantacinque anni di distanza, quel “movimento di crollo”, colto per un centesimo di secondo nel volume “monumentalmente fermo” della massa scultorea, è ancora sotto i nostri occhi. Invenzione poetica tuttora attuale, sorprendente ed emozionante, sovverte ogni ordine prestabilito e, contro tutte le leggi della statica, ci permette di cogliere la sospensione dell’attimo, di un divenire che non avrà mai luogo.
Proprio al movimento si riferisce l’artista nel catalogo che accompagna la mostra del 1971 quando afferma: “Sento oggi un enorme e maestoso movimento di crollo”.
Nel breve testo in cui declina la sua poetica, sostiene di aver ormai raggiunto la massima consapevolezza delle sue operazioni mentali su sferoidi e cilindri e che la sua ricerca si appresta ora a far prevalere l’elemento del significato su quello del movimento delle masse scultoree. Precisa che non si tratta di un significato semantico o letterario ma di una sorta di visione ironica e controcorrente, in grado di accentuare il disequilibrio tra natura e visione, ordine prestabilito e imprevedibile invenzione. In ciò consiste il “movimento di crollo”, enorme e maestoso, che si sprigiona dalle colonne recise e in bilico raffigurate nei grandi disegni, o eseguite in lucido bronzo riflettente.
Da un lato, la rottura delle forme permette all’artista di scoprirne le fermentazioni interne, “misteriose e pure”, rispondendo a un bisogno di scoperta altrimenti insoddisfatto.
Dall’altro, la superficie specchiante delle opere permette di restituire la percezione di tutto ciò che è intorno alla scultura facendola diventare parte integrante della stessa.
“Credo che i riflessi della luce abbiano molta importanza. Durante il giorno, alla luce del sole, o all’ombra, le sculture davvero cambiano. Gli effetti specchianti includono ciò che vi sta attorno, lo spettatore… Questo rende la scultura viva, una parte di noi, della natura, in qualsiasi luogo si trovi.” (A. Pomodoro, 1974)
Così Marco Valsecchi, all’indomani dell’inaugurazione della mostra, descrive le opere esposte in un articolo apparso sul “Giorno” del 17 giugno 1971: “…colonne corrose e quindi spaccate: per la lunghezza, quasi le avesse colpite il fulmine, che le ha divise in due rivelando gli incastri e le giunture interne. Un’altra invece è tagliata a metà per largo ed è sul punto di crollare con metà del cilindro già fuori asse.” E prosegue “dinanzi a questa colonna dimezzata dal taglio netto, si prova lo shock del crollo imminente, che la parte superiore scivoli a terra e vada in frantumi con grande fracasso, e noi la si sorprenda nell’attimo, estremo, un centesimo di secondo appunto, prima della sua corsa rovinosa. Che invece non avviene.”
A quarantacinque anni di distanza, quel “movimento di crollo”, colto per un centesimo di secondo nel volume “monumentalmente fermo” della massa scultorea, è ancora sotto i nostri occhi. Invenzione poetica tuttora attuale, sorprendente ed emozionante, sovverte ogni ordine prestabilito e, contro tutte le leggi della statica, ci permette di cogliere la sospensione dell’attimo, di un divenire che non avrà mai luogo.